Questa raccolta di ‘scritti civili’, che segue l’ispirazione del fortunato Ricordi tristi e civili , vede la luce a poco più di un anno dalla scomparsa di Cesare Garboli, un critico o, meglio, secondo la definizione di Geno Pampaloni uno scrittore che ha costituito, anche dal punto di vista civile, una delle coscienze critiche più vigili e indipendenti degli ultimi anni.
Gli interventi e le interviste presentate in questo volume spaziano dalla riflessione su un articolo di Natalia Ginzburg sulla strage di Monaco alla spietata rivisitazione della storia dell’Occidente nella lettera a Baernardo Valli che dà il titolo alla raccolta, dallo svelamento del ‘cuore marcio del potere’ attraverso una lettura di Re Lear a due scritti più specifici sull’Italia. Attraverso queste pagine, si dipana la peculiare visione garboliana della storia e della realtà e quella avversione profonda verso il potere che si dispiega immediatamente, ad apertura di libro, nel capitolo sull’articolo della Ginzburg: «Il potere in se stesso, comunque lo si pratichi, comunque lo si cerchi, è un male. È stato Manzoni il primo, limpido assertore che agire la storia, fare la storia e non subirla è comunque rendersi complice di un male, diventare corresponsabili di un orrore…».
Questa raccolta di ‘scritti civili’, che segue l’ispirazione del fortunato Ricordi tristi e civili , vede la luce a poco più di un anno dalla scomparsa di Cesare Garboli, un critico o, meglio, secondo la definizione di Geno Pampaloni uno scrittore che ha costituito, anche dal punto di vista civile, una delle coscienze critiche più vigili e indipendenti degli ultimi anni.
Gli interventi e le interviste presentate in questo volume spaziano dalla riflessione su un articolo di Natalia Ginzburg sulla strage di Monaco alla spietata rivisitazione della storia dell’Occidente nella lettera a Baernardo Valli che dà il titolo alla raccolta, dallo svelamento del ‘cuore marcio del potere’ attraverso una lettura di Re Lear a due scritti più specifici sull’Italia. Attraverso queste pagine, si dipana la peculiare visione garboliana della storia e della realtà e quella avversione profonda verso il potere che si dispiega immediatamente, ad apertura di libro, nel capitolo sull’articolo della Ginzburg: «Il potere in se stesso, comunque lo si pratichi, comunque lo si cerchi, è un male. È stato Manzoni il primo, limpido assertore che agire la storia, fare la storia e non subirla è comunque rendersi complice di un male, diventare corresponsabili di un orrore…».