Il teatro è forse la produzione meno frequentata di Natalia Ginzburg, ma non rappresenta affatto un'attività minore della scrittrice. Si tratta di undici commedie scritte fra il 1965 e il 1991, da Ti ho sposato per allegria al breve dialogo Il cormorano, ultimo testo di invenzione della Ginzburg.
Protagonisti di queste commedie sono persone generalmente sprovvedute, ignare della realtà e di se stesse: perlopiù figli diventati autonomi senza entusiasmo e senza grandi capacità di cavarsela. I genitori sono spariti. Le madri si manifestano solo come presenze all'altro capo del telefono, a loro si ricorre per sfogarsi o chiedere soldi urgenti; i padri, invece, non compaiono nemmeno come personaggi assenti, e forse proprio la ricerca di figure paterne alternative è il filo che lega fra loro le diverse commedie. È una rappresentazione della famiglia molto diversa da quella di Lessico famigliare, una rappresentazione che dà conto e a volte anticipa le evoluzioni della società italiana e che ancora può essere letta con una buona dose di identificazione da parte di molti, se non di tutti.
Sono commedie con una tristezza di fondo, ma che facevano e ancora fanno ridere molto. L'allegria, più che nei personaggi, è nelle parole con cui si giocano in modo leggero i destini dei rapporti fra uomini e donne, fra individuo e individuo. Questa attenzione linguistica e l'invenzione di un italiano parlato musicalmente, inconsueto nel nostro teatro, rendono Natalia Ginzburg, come racconta Domenico Scarpa nel suo saggio conclusivo, un autore non troppo distante da maestri europei del dialogo come Beckett, Pinter, Compton-Burnett.
Il teatro è forse la produzione meno frequentata di Natalia Ginzburg, ma non rappresenta affatto un'attività minore della scrittrice. Si tratta di undici commedie scritte fra il 1965 e il 1991, da Ti ho sposato per allegria al breve dialogo Il cormorano, ultimo testo di invenzione della Ginzburg.
Protagonisti di queste commedie sono persone generalmente sprovvedute, ignare della realtà e di se stesse: perlopiù figli diventati autonomi senza entusiasmo e senza grandi capacità di cavarsela. I genitori sono spariti. Le madri si manifestano solo come presenze all'altro capo del telefono, a loro si ricorre per sfogarsi o chiedere soldi urgenti; i padri, invece, non compaiono nemmeno come personaggi assenti, e forse proprio la ricerca di figure paterne alternative è il filo che lega fra loro le diverse commedie. È una rappresentazione della famiglia molto diversa da quella di Lessico famigliare, una rappresentazione che dà conto e a volte anticipa le evoluzioni della società italiana e che ancora può essere letta con una buona dose di identificazione da parte di molti, se non di tutti.
Sono commedie con una tristezza di fondo, ma che facevano e ancora fanno ridere molto. L'allegria, più che nei personaggi, è nelle parole con cui si giocano in modo leggero i destini dei rapporti fra uomini e donne, fra individuo e individuo. Questa attenzione linguistica e l'invenzione di un italiano parlato musicalmente, inconsueto nel nostro teatro, rendono Natalia Ginzburg, come racconta Domenico Scarpa nel suo saggio conclusivo, un autore non troppo distante da maestri europei del dialogo come Beckett, Pinter, Compton-Burnett.