Fin dalla sua indipendenza dal Regno Unito nel 196o, la Nigeria è vissuta in uno stato di crisi permanente. Il collante per questo paese, diviso ma con «l'ossessione dell'unità nazionale», è stata la dipendenza dal petrolio, che ha però eroso istituzioni e sviluppo economico-sociale e portato corruzione, colpi di stato, disastri ambientali. Sotto molti aspetti l'arrivo della democrazia, nel 1999, non ha migliorato le cose: si stima che cento milioni di nigeriani, la metà della popolazione, vivano sotto la soglia di povertà. Soprattutto, è la violenza diffusa a dipingere un quadro sconfortante: dai terroristi di Boko haram ai nuovi movimenti secessionisti armati, fino alla piaga dei rapimenti, che miete sempre più vittime e può colpire chiunque. Come si vive in un paese in cui lo stato è, nel migliore dei casi, assente? In cui manca la corrente sei mesi all'anno, la sanità e l'istruzione pubbliche sono inesistenti e l'esercito, schierato in ognuno dei 36 stati che formano la federazione, non riesce a contenere la violenza? In questo quadro l'unica società possibile è quella del «fai da te», che germoglia dove e come può. Non appena nasce il minimo barlume di opportunità, i nigeriani sfoderano tutto il dinamismo e l'imprenditorialità repressi, e inventano: app finanziarie per ovviare all'inaccessibilità del sistema bancario, una rivoluzione energetica solare per rendersi autonomi dalla rete elettrica pubblica , e-commerce su Instagram per vendere afrodisiaci tradizionali, film a budget ridottissimo, libri e musica che riscuotono successi in tutto il mondo. Nessun altro paese del continente africano è permeato dalla stessa vivacità. E mentre la generazione dei generali che ha vinto la guerra civile e governato il paese per sessant'anni è ormai agli sgoccioli, il rifiuto di sempre più giovani di voltarsi dall'altra parte davanti all'ingiustizia e alla violenza apre spiragli di speranza: forse le forze più vitali riusciranno a prendere in mano il futuro del paese. E, come sono abituate a fare, ad aggiustarlo.
Fin dalla sua indipendenza dal Regno Unito nel 196o, la Nigeria è vissuta in uno stato di crisi permanente. Il collante per questo paese, diviso ma con «l'ossessione dell'unità nazionale», è stata la dipendenza dal petrolio, che ha però eroso istituzioni e sviluppo economico-sociale e portato corruzione, colpi di stato, disastri ambientali. Sotto molti aspetti l'arrivo della democrazia, nel 1999, non ha migliorato le cose: si stima che cento milioni di nigeriani, la metà della popolazione, vivano sotto la soglia di povertà. Soprattutto, è la violenza diffusa a dipingere un quadro sconfortante: dai terroristi di Boko haram ai nuovi movimenti secessionisti armati, fino alla piaga dei rapimenti, che miete sempre più vittime e può colpire chiunque. Come si vive in un paese in cui lo stato è, nel migliore dei casi, assente? In cui manca la corrente sei mesi all'anno, la sanità e l'istruzione pubbliche sono inesistenti e l'esercito, schierato in ognuno dei 36 stati che formano la federazione, non riesce a contenere la violenza? In questo quadro l'unica società possibile è quella del «fai da te», che germoglia dove e come può. Non appena nasce il minimo barlume di opportunità, i nigeriani sfoderano tutto il dinamismo e l'imprenditorialità repressi, e inventano: app finanziarie per ovviare all'inaccessibilità del sistema bancario, una rivoluzione energetica solare per rendersi autonomi dalla rete elettrica pubblica , e-commerce su Instagram per vendere afrodisiaci tradizionali, film a budget ridottissimo, libri e musica che riscuotono successi in tutto il mondo. Nessun altro paese del continente africano è permeato dalla stessa vivacità. E mentre la generazione dei generali che ha vinto la guerra civile e governato il paese per sessant'anni è ormai agli sgoccioli, il rifiuto di sempre più giovani di voltarsi dall'altra parte davanti all'ingiustizia e alla violenza apre spiragli di speranza: forse le forze più vitali riusciranno a prendere in mano il futuro del paese. E, come sono abituate a fare, ad aggiustarlo.