Il 20 luglio 1937 il campo centrale di Wimbledon è «verde e teso come un panno da biliardo». È il giorno della finale interzone di Coppa Davis e di fronte a quattordicimila spettatori va in scena la più bella partita di tennis di tutti i tempi: l’imberbe proletario dai capelli rossi Don Budge affronta l’idolo del pubblico, il barone von Cramm. Sul finire della Grande depressione, alle soglie della Seconda guerra mondiale, il significato dell’incontro tra l’americano numero uno al mondo e l’elegante aristocratico tedesco travalica i confini dello sport: Budge si batte per la gloria della patria, von Cramm per la sua stessa vita. Inviso al regime nazista, sorvegliato dalla Gestapo, la strategia di sopravvivenza del barone funziona sulla base dei successi collezionati sul campo. Von Cramm però sembra teso, il suo volto meno luminoso del solito. Poco prima del match una telefonata imprevista deve averlo messo in agitazione: «Era Hitler, voleva augurarmi buona fortuna».
Il 20 luglio 1937 il campo centrale di Wimbledon è «verde e teso come un panno da biliardo». È il giorno della finale interzone di Coppa Davis e di fronte a quattordicimila spettatori va in scena la più bella partita di tennis di tutti i tempi: l’imberbe proletario dai capelli rossi Don Budge affronta l’idolo del pubblico, il barone von Cramm. Sul finire della Grande depressione, alle soglie della Seconda guerra mondiale, il significato dell’incontro tra l’americano numero uno al mondo e l’elegante aristocratico tedesco travalica i confini dello sport: Budge si batte per la gloria della patria, von Cramm per la sua stessa vita. Inviso al regime nazista, sorvegliato dalla Gestapo, la strategia di sopravvivenza del barone funziona sulla base dei successi collezionati sul campo. Von Cramm però sembra teso, il suo volto meno luminoso del solito. Poco prima del match una telefonata imprevista deve averlo messo in agitazione: «Era Hitler, voleva augurarmi buona fortuna».