Nel Viaggio al centro della terra di Verne, più volte ricordato nel romanzo, nelle gallerie che partendo da un vulcano spento in Islanda conducono sempre più giù negli strati sotterranei, gli esploratori sentono tutto il tempo scorrere dell’acqua nella roccia, la sentono chiaramente, ma non riescono mai a raggiungerla. La vita, per Gustafsson, è come quell’acqua irraggiungibile che ci scorre accanto. Usciti dall’infanzia, da quel periodo unico “che somiglia a un sogno, in cui tutto è possibile”, a un certo punto ce ne siamo allontanati, perdendone le tracce. E se anche non ci sono mancate le occasioni per ritrovarla, non le abbiamo riconosciute. “Quel che a distanza pareva possibile, visto da vicino diventava una stranezza, una curiosità”. Una sorta di “processo alchemico alla rovescia” ha fatto sì che tutto quel che abbiamo vissuto si è trasformato in memoria nell’attimo stesso in cui lo vivevamo. “Appunti” è il sottotitolo del romanzo: un episodio di infanzia a scuola, i voli in pallone del nonno aeronauta, due ragazzini che si dedicano a strani esperimenti scientifici, una donna incrociata in treno che avrebbe potuto essere il grande amore mai avuto. “Non esistono destini, esistono immagini”. Ma esiste un legame che le unisce? Il viaggio all’interno di se stesso che un uomo di nome Arenander intraprende un mattino d’estate di un anno qualsiasi è un tentativo di discesa nel fondo dell’io, alla ricerca di quell’inafferrabile o inesistente centro in cui gli infiniti personaggi che ogni attimo e ogni esperienza mutano in noi, possano ritrovare la loro unità, ridando ai ricordi, ai pensieri, al divagare degli avvenimenti, il disegno di quella vita vera che “bizzarramente, come le formazioni di nuvole strappate dal vento”, a poco a poco si ricompone.
Nel Viaggio al centro della terra di Verne, più volte ricordato nel romanzo, nelle gallerie che partendo da un vulcano spento in Islanda conducono sempre più giù negli strati sotterranei, gli esploratori sentono tutto il tempo scorrere dell’acqua nella roccia, la sentono chiaramente, ma non riescono mai a raggiungerla. La vita, per Gustafsson, è come quell’acqua irraggiungibile che ci scorre accanto. Usciti dall’infanzia, da quel periodo unico “che somiglia a un sogno, in cui tutto è possibile”, a un certo punto ce ne siamo allontanati, perdendone le tracce. E se anche non ci sono mancate le occasioni per ritrovarla, non le abbiamo riconosciute. “Quel che a distanza pareva possibile, visto da vicino diventava una stranezza, una curiosità”. Una sorta di “processo alchemico alla rovescia” ha fatto sì che tutto quel che abbiamo vissuto si è trasformato in memoria nell’attimo stesso in cui lo vivevamo. “Appunti” è il sottotitolo del romanzo: un episodio di infanzia a scuola, i voli in pallone del nonno aeronauta, due ragazzini che si dedicano a strani esperimenti scientifici, una donna incrociata in treno che avrebbe potuto essere il grande amore mai avuto. “Non esistono destini, esistono immagini”. Ma esiste un legame che le unisce? Il viaggio all’interno di se stesso che un uomo di nome Arenander intraprende un mattino d’estate di un anno qualsiasi è un tentativo di discesa nel fondo dell’io, alla ricerca di quell’inafferrabile o inesistente centro in cui gli infiniti personaggi che ogni attimo e ogni esperienza mutano in noi, possano ritrovare la loro unità, ridando ai ricordi, ai pensieri, al divagare degli avvenimenti, il disegno di quella vita vera che “bizzarramente, come le formazioni di nuvole strappate dal vento”, a poco a poco si ricompone.