Pensavo di essermi congedato con l’ottava edizione de Il Paese dei Gelsi, ma il volume è andato esaurito per cui propongo con gioia al lettore la nona edizione di questo mio libro, che è stato un piccolo, lungo e costante successo. Il Paese dei Gelsi è, o vorrebbe essere, il ritratto incantato e affettuoso del Veneto bianco e profondo, del Veneto strutturato e vissuto nel cattolicesimo tradizionale. L’intellettualismo e il politicismo italiano hanno ridotto a maschera e a macchietta un mondo capillarmente diverso, che comunicava soltanto con una grande lingua orale: gentile, sapida e armoniosa; lo hanno irriso, disprezzato e vilipeso attraverso il cinema e tutti i mass media che contano, lo hanno accusato di essere arretrato e reazionario, ipocrita e superstizioso. Si è trattato, invece, di una realtà straordinaria, segnata dalla Carità e dalla Liturgia.
Sono pochi gli scrittori veneti che hanno delineato la loro terra e la loro gente in profondità, e con bellezza e verità: penso a Ulderico Bernardi, complesso e geniale, al sapienziale Dino Coltro, al rustico e intrigante Italo Facchinello, al giovane e avvincente Paolo Malaguti. Meglio per i poeti in veneto: Berto Barbarani, Ernesto Calzavara, Luciano Cecchinel, Giacomo Noventa, Romano Pascutto e Andrea Zanzotto. Probabilmente il mio Paese dei Gelsi è troppo idilliaco; credo si muova vivace, e soavemente malandrino; al mio modo festoso, ho cercato di ritrarre la vera vita di un paese veneto di pianura, lungo la Piave, la vita buona dei Veneti che lavoravano, che pregavano e che parlavano in ‘dialetto’. Pur nelle sue indubbie piccole miserie, è stato un mondo colmo di festa e di feste, di minime ma gaudiose gioie terrene, di solidarietà, che ho sperimentato pienamente da ragazzo e da giovane: un mondo intessuto di forti relazioni umane e di visibili vincoli comunitari. Non è stato un Eldorado, ma un ‘luogo’ in cui è stato bello viverci interamente.
Pensavo di essermi congedato con l’ottava edizione de Il Paese dei Gelsi, ma il volume è andato esaurito per cui propongo con gioia al lettore la nona edizione di questo mio libro, che è stato un piccolo, lungo e costante successo. Il Paese dei Gelsi è, o vorrebbe essere, il ritratto incantato e affettuoso del Veneto bianco e profondo, del Veneto strutturato e vissuto nel cattolicesimo tradizionale. L’intellettualismo e il politicismo italiano hanno ridotto a maschera e a macchietta un mondo capillarmente diverso, che comunicava soltanto con una grande lingua orale: gentile, sapida e armoniosa; lo hanno irriso, disprezzato e vilipeso attraverso il cinema e tutti i mass media che contano, lo hanno accusato di essere arretrato e reazionario, ipocrita e superstizioso. Si è trattato, invece, di una realtà straordinaria, segnata dalla Carità e dalla Liturgia.
Sono pochi gli scrittori veneti che hanno delineato la loro terra e la loro gente in profondità, e con bellezza e verità: penso a Ulderico Bernardi, complesso e geniale, al sapienziale Dino Coltro, al rustico e intrigante Italo Facchinello, al giovane e avvincente Paolo Malaguti. Meglio per i poeti in veneto: Berto Barbarani, Ernesto Calzavara, Luciano Cecchinel, Giacomo Noventa, Romano Pascutto e Andrea Zanzotto. Probabilmente il mio Paese dei Gelsi è troppo idilliaco; credo si muova vivace, e soavemente malandrino; al mio modo festoso, ho cercato di ritrarre la vera vita di un paese veneto di pianura, lungo la Piave, la vita buona dei Veneti che lavoravano, che pregavano e che parlavano in ‘dialetto’. Pur nelle sue indubbie piccole miserie, è stato un mondo colmo di festa e di feste, di minime ma gaudiose gioie terrene, di solidarietà, che ho sperimentato pienamente da ragazzo e da giovane: un mondo intessuto di forti relazioni umane e di visibili vincoli comunitari. Non è stato un Eldorado, ma un ‘luogo’ in cui è stato bello viverci interamente.